Caduta sul manto stradale dissestato: escluso il risarcimento per il pedone distratto
La Corte di Cassazione, VI Sezione Civile, con l’ordinanza n. 17324 del 3 luglio 2018 ha fornito chiarimenti in merito al risarcimento ex art. 2051 c.c. per il danno da caduta a causa di del manto stradale dissestato.
Secondo i Giudici di legittimità, deve escludersi la responsabilità da cose in custodia in capo all’ente proprietario della strada qualora la caduta sul manto stradale dissestato superficialmente sia causata da una disattenzione del pedone, trattandosi di caduta avvenuta alle ore 8 del mattino e, quindi, in condizioni di perfetta visibilità.
Tale comportamento imprudente, secondo gli ermellini, è idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra il fatto e l’evento dannoso se è connotato da esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.
La vicenda, sottoposta all’attenzione della Suprema Corte, vedeva la Corte di Appello, in riforma della sentenza di primo grado, rigettare la domanda del pedone rilevando che nel caso di specie non si trattava di una buca ma di una scarificazione dell’asfalto e che la caduta avveniva in condizioni di perfetta visibilità.
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato l’unico motivo proposto dal pedone ricorrente, richiamando le recenti ordinanze n. 2480, 2481, 2482 e 2483 del primo febbraio secondo cui la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1227, primo comma, c.c., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 della Costituzione.
Ne consegue, spiega la Cassazione, che “quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro”.
Le richiamate ordinanze hanno, altresì, chiarito che l’espressione “fatto colposo” contenuta nell’art. 1227 cit. non va intesa come riferita all’elemento psicologico della colpa ma come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta.
Infine, l’accertamento dello stato di capacità naturale della vittima e delle circostanze riguardanti la verificazione dell’evento, costituisce quaestio facti riservata solo all’apprezzamento del giudice di merito.
Ebbene, nel caso di specie, i giudici di merito hanno accertato che il comportamento normalmente diligente da parte del pedone avrebbe evitato il fatto dannoso. Ciò equivale a riconoscere che non sussistevail nesso di causalità tra l’anomalia presente sul manto stradale e la caduta.
Dunque, non essendo ravvisabile alcuna violazione di legge commessa dalla Corte territoriale, i Giudici rigettavano il ricorso.
Cassazione di Cassazione, Vi Sezione, n. 17324 del 3 luglio 2018
FATTI DI CAUSA
1. XXX convenne in giudizio il Comune di S. davanti al Tribunale di Termini Imerese, chiedendo il risarcimento dei danni da lei patiti in conseguenza della caduta in una buca non segnalata esistente sulla pubblica via nel territorio del Comune stesso.
Si costituì in giudizio il Comune, chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale accolse la domanda e condannò il Comune al risarcimento dei danni nella misura di euro 21.592,62, con gli interessi ed il carico delle spese di giudizio.
2.La pronuncia è stata appellata in via principale dal Comune soccombente e in via incidentale dalla M. e la Corte d’appello di Palermo, con sentenza del 14 settembre 2016, in accoglimento del gravarne principale, ha rigettato la domanda della M., condannandola al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.
Ha osservato la Corte di merito che sul luogo del sinistro non sussisteva alcuna insidia, posto che vi era solo una scarificazione dell’asfalto e non una buca, e che l’incidente era avvenuto alle ore 8 del mattino in condizioni di perfetta visibilità; per cui «la danneggiata era perfettamente consapevole, ovvero avrebbe potuto esserlo con l’ordinaria diligenza, delle condizioni difficoltose di percorrenza del tratto in oggetto», sicché era da ritenere che l’evento dannoso fosse stato determinato «in via esclusiva dalla condotta della danneggiata».
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Palermo ricorre RMM con atto affidato ad un solo motivo.
Il Comune di S. non ha svolto attività difensiva in questa sede. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., e non sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 del codice civile. Osserva la ricorrente che la sentenza, errando nella valutazione delle testimonianze, avrebbe violato le regole sulla responsabilità oggettiva del custode, posto che l’ente proprietario della strada si può liberare soltanto dimostrando il caso fortuito.
1.1. Il motivo non è fondato.
1.2. Questa Corte, sottoponendo a revisione e riordino i principi in materia di responsabilità civile derivante dall’obbligo di custodia, ha stabilito, con le recenti ordinanze 1° febbraio 2018, nn. 2480, 2481, 2482 e 2483, che la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1227, primo comma, cod. civ., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 della Costituzione.
Ne consegue che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.
È stato anche chiarito nelle menzionate pronunce che l’espressione “fatto colposo” che compare nell’art. 1227 cod. civ. non va intesa come riferita all’elemento psicologico della colpa, che ha rilevanza esclusivamente ai fini di una affermazione di responsabilità, la quale presuppone l’imputabilità, ma deve intendersi come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, stabilita da norme positive e/o dettata dalla comune prudenza.
L’accertamento in ordine allo stato di capacità naturale della vittima e delle circostanze riguardanti la verificazione dell’evento, anche in ragione del comportamento dalla stessa vittima tenuto, costituisce quaestio facti riservata esclusivamente all’apprezzamento del giudice di merito.
1.3. Nella specie la Corte d’appello, con un giudizio di merito non più suscettibile di riesame in questa sede, ha accertato proprio che il comportamento normalmente diligente da parte dell’infortunata avrebbe evitato il fatto dannoso, il che equivale a riconoscere, in sostanza, che non sussisteva il nesso di causalità tra l’anomalia presente sul manto stradale e la conseguente caduta della vittima. Nessuna violazione di legge, pertanto, è stata commessa dalla Corte di merito.
2. Il ricorso, pertanto, è rigettato.
Non occorre provvedere sulle spese, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Comune intimato. Sussistono tuttavia le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile, il 17 maggio 2018