Cassa Forense: prescrizione quinquennale della sanzione per omessa comunicazione del reddito professionale
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 17258 del 2 luglio 2018 ha ribadito che la sanzione amministrativa irrogata dalla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense agli avvocati per il mancato versamento dei contributi previdenziali obbligatori e l’omesso invio della comunicazione relativa ai redditi professionali si prescrive in 5 anni, con decorrenza dal giorno in cui è stata commessa la violazione.
La Corte di legittimità, infatti, ha osservato che tale sanzione conserva la propria natura amministrativa anche a seguito della privatizzazione della Cassa Forense avvenuta con il d. lgs. 509/1994. Quindi, il termine di prescrizione è quello indicato dall’art. 28 della legge 689/1981.
Ne consegue che tale sanzione pecuniaria “è soggetta alla prescrizione quinquennale decorrente dal giorno in cui è stata commessa la violazione e non a quella decennale prescritta dall’art. 19, primo comma, della legge n. 576 del 1980, che si riferisce solo ai contribuenti e ai relativi accessori”.
Pertanto, la Corte rigettava il ricorso promosso dalla Cassa Forense.
Cassazione Civile, Sezione Lavoro, n. 17258 del 2 luglio 2018
Svolgimento del processo
Con la sentenza n. 1945/2012 la Corte d’Appello di Reggio Calabria respingeva il gravame proposto dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense avverso la sentenza che aveva annullato la cartella esattoriale con cui la Cassa intimava all’avvocato XXX il pagamento di Euro 676,44 a titolo di sanzione per il mancato versamento di contributi previdenziali obbligatori relativi agli anni 2000 e 2001.
A fondamento della decisione la Corte ribadiva che nella materia trovava applicazione il termine di prescrizione quinquennale previsto in via generale dalla L. n. 689 del 1981, art. 28; posto che secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità la sanzione pecuniaria in discorso – comminata dall’art. 17, comma 4, primo periodo della L. n. 576 del 1980, per inottemperanza all’obbligo di comunicazione alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense dell’ammontare del reddito professionale entro il termine previsto – aveva natura amministrativa e come tale era soggetta alla prescrizione quinquennale decorrente dal giorno in cui era stata commessa la violazione. Sosteneva inoltre che la L. n. 689 del 1981 dovesse trovare applicazione, fatti salvi gli aspetti espressamente derogati da altre norme speciali di pari grado, con conseguente irrilevanza di disposizioni regolamentari contrastanti con la normativa primaria.
Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense con un unico motivo al quale ha resistito XXX con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto; l’inapplicabilità della legge 689/1981 sulle sanzioni amministrative allo speciale regime della previdenza forense, atteso che il quadro normativo in materia andava configurato ai sensi della L. n. 576 del 1980, art. 17, come modificato dalla L. n. 141 del 1992, art. 9, in combinato con l’art. 3, comma 2 del nuovo Regolamento per la disciplina delle sanzioni della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense adottato, nell’ambito dell’autonomia specificamente riconosciuta nella particolare materia delle sanzioni dalla L. n. 140 del 1997, art. 4, comma 6 bis, con delibera del Comitato dei Delegati e della Cassa del 19 maggio 2000 ed approvato con D.M. 20.11.2000; pertanto, sulla base del potere conferitegli da una norma primaria, la Cassa ha legittimamente adottato un proprio Regolamento attraverso il quale aveva disposto l’esclusione delle disposizioni di cui alla L. n. 689 del 1981; l’automatismo delle sanzioni; una specifica procedura per l’irrogazione delle stesse; l’intrasmissibilità agli eredi della sanzione. La L. n. 689 del 1981 non poteva trovare applicazione nel sistema previdenziale forense con particolare riferimento alle irregolarità compiute successivamente all’entrata in vigore del citato Regolamento per la disciplina delle sanzioni adottato dalla Cassa.
2. Il ricorso è infondato dovendosi dare continuità all’orientamento, oramai consolidato, affermato da questa Corte (sentenze n. 18130 del 04/08/2010; n. 13545 del 26/05/2008; 20/9/2006 n. 20343; del 24/3/2003 n.4290) secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria comminata dall’art. 17, comma 4, primo periodo della L. n. 576 del 1980, per inottemperanza all’obbligo di comunicazione, alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, dell’ammontare del reddito professionale entro trenta giorni dalla data prescritta per la presentazione della dichiarazione annuale dei redditi, ha natura amministrativa, che non è venuta meno per effetto della privatizzazione di detta Cassa ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509. Ne consegue che essa è soggetta alla prescrizione quinquennale decorrente dal giorno in cui è stata commessa la violazione e non a quella decennale prescritta dalla L. n. 576 del 1980, art. 19, comma 1, che si riferisce solo ai contribuenti e ai relativi accessori.
3. In particolare si è rilevato che la giurisprudenza di questa Corte è nel senso dell’applicabilità della nuova disciplina della prescrizione quinquennale di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3 alle contribuzioni dovute alle casse di previdenza privatizzate dei liberi professionisti (Cass., sez., lav., 16 agosto 2001, n. 11140; Cass., sez., lav., 6 novembre 2006, n. 23643; Cass., sez., lav., 15 marzo 2006, n. 5622; Cass., sez., lav., 24 febbraio 2006, n. 4153; Cass., sez., lav., 29 dicembre 2004, n. 24138; Cass., sez., lav. 24 marzo 2005, n. 6340; Cass., sez., lav., 10 dicembre 2004, n. 23 116; Cass., sez., lav., 9 aprile 2003, n. 5522; Cass., sez., lav., 1 luglio 2002. n. 9525; Cass., sez., lav., 27 giugno 2002, n. 9408; 12 gennaio 2002, n. 330).
4. Inoltre, quanto al più specifico profilo delle sanzioni irrogate dalla Cassa, questa Corte (ex plurimis Cass., sez. lav., 24 marzo 2003, n. 4290; Cass., sez. lav., 20 settembre 2006. n. 20343) ha anche precisato in proposito che la penalità prevista dalla L. n. 576 del 1980, art. 17, comma 4, primo periodo, nel testo modificato dalla L. n. 141 del 1991, art. 9, nel caso di omessa (annuale) comunicazione del reddito da parte dei professionisti alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense ha natura di sanzione amministrativa pecuniaria. Cfr. Cass., sez. lav., 26 maggio 2008. n. 13545, secondo cui le norme procedimentali di cui alla L. n. 689 del 1981, trovano applicazione anche per l’irrogazione della sanzione amministrativa relativa all’omesso invio della comunicazione reddituale alla Cassa forense, salvo che per quegli aspetti espressamente derogati (o espressamente disciplinati in modo diverso) da altre norme speciali di pari grado (con conseguente irrilevanza di disposizioni regolamentari contrastanti con la normativa primaria). Né la natura amministrativa di tale sanzione – affermata anche dalla giurisprudenza recente di questa Corte – è venuta meno per effetto della privatizzazione della Cassa forense ex D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509 essendo rimasto comunque in capo alla Cassa un potere, previsto dalla legge, di irrogazione di sanzioni per comportamenti degli iscritti in violazione di legge; potere al quale corrisponde una situazione di soggezione degli iscritti stessi; cfr., per altro verso, Cass., sez. lav., 14 novembre 2001, n. 14191. secondo cui anche dopo la privatizzazione ex D.Lgs. n. 509 del 1994, permane in capo alla Cassa forense il potere di fare ricorso al ruolo esattoriale per la riscossione dei contributi.
5. Sullo specifico problema – che è quello posto dal ricorso della ricorrente – del termine prescrizionale (quinquennale o decennale) per l’irrogazione delle sanzioni da parte della Cassa, la sentenza, Cass. sez. lav., 20 settembre 2006, n. 20343 – nel ribadire che ha natura amministrativa la sanzione pecuniaria comminata dalla L. n. 576 del 1980, art. 17, comma 4, primo periodo, per inottemperanza all’obbligo di comunicazione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense dell’ammontare del reddito professionale entro trenta giorni dalla data prescritta per la presentazione della dichiarazione annuale dei redditi – ha precisato che la stessa, come tale, è soggetta alla prescrizione quinquennale, di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 28, decorrente dal giorno in cui è stata commessa la violazione. Ciò perchè la disciplina generale (di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, cit., art. 28) – in materia di prescrizione delle sanzioni amministrative pecuniarie – non risulta derogata da disposizione speciale in materia di prescrizione della sanzione amministrativa (di cui alla L. 20 settembre 1980, n. 576, art. 17, comma 4, primo periodo, cit.). Ed infatti ha ritenuto questa Corte – la prescrizione decennale (di cui alla L. 20 settembre 1980 n. 576, art. 19, comma 1, primo periodo, cit.) riguardante i “contributi dovuti alla Cassa (nazionale di previdenza e assistenza forense)”, nonchè ogni relativo accessorio e – aggiunge la Corte – “sanzione ai sensi della presente legge” risulta, come tale, “tacitamente abrogata a seguito dell’entrata in vigore alla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, comma 9 e 10, cit.”. Nello stesso senso si è successivamente espressa anche Cass., sez. lav., 4 giugno 2008, n. 14779, che – rigettando anche l’eccezione di incostituzionalità – ha ribadito la natura amministrativa della sanzione pecuniaria comminata dalla L. n. 576 del 1980,art. 17, comma 4, primo periodo, (successivamente modificato dalla L. 11 febbraio 1992, n. 141, art. 9), con conseguente assoggettamento alla prescrizione quinquennale decorrente dal giorno in cui è stata commessa la violazione.
6. Nessun rilievo è stato attribuito alla normativa regolamentare invocata dalla Cassa atteso che secondo questa Corte (sentenza n. 13545/2008) la legge n. 576 del 1980, art. 19, disposizione speciale, è stata abrogata in parte qua dalla L. n. 335 del 1995, comma 9, dell’art. 3; posto che il comma 9, lett. a) riguarda il Fondo pensioni lavoratori dipendenti e le altre gestioni pensionistiche obbligatorie, mentre la lett. b) si riferisce a “tutte le altre contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria”; formulazione questa che è onnicomprensiva (anche della contribuzione di tipo pensionistico, quale quella rilevante nella specie) e non lascia fuori alcuna forma di previdenza obbligatoria. Pertanto per il solo fatto che la previdenza forense abbia carattere (non già facoltativo, ma) obbligatorio, come risulta dalla L. 20 settembre 1980, n. 576, art. 22, secondo cui l’iscrizione alla Cassa è obbligatoria per tutti gli avvocati che esercitano la libera professione con carattere di continuità, trova applicazione l’art. 3 cit., comma 9, con conseguente abrogazione della citata L. n. 576 del 1980, art. 19.
Del resto questa Corte ha già ritenuto l’applicabilità dell’art. 3 cit., comma 9, ad altre ipotesi di sistemi previdenziali categoriali (geometri e commercialisti): Cass. luglio 2002 n. 9525, Cass. 27 giugno 2002 n. 9408; Cass. 12 gennaio 2002 n. 330, Cass. 16 agosto 2001 n. 11140″.
7. Infine è stata pure esclusa da questa Corte (Cass. n. 13545/2008) la eventualità di una questione di costituzionalità atteso che la disciplina delle sanzioni irrogate dalla Cassa, per le argomentazioni sopra svolte, risulta conformata, quanto alla durata del termine prescrizionale (quinquennale, quindi), a quella dei contributi ed è la stessa di quella delle sanzioni amministrative in genere. Questa armonizzazione del sistema complessivo appare conforme al principio di eguaglianza. Nè per altro verso sono compromesse le esigenze di tutela previdenziale degli iscritti alla Cassa e di solidarietà tra gli stessi – pur sempre sottese al regime delle sanzioni – apparendo non esiguo il termine prescrizionale quinquennale per l’irrogazione delle sanzioni; cfr. la giurisprudenza costituzionale secondo cui “l’incongruità del termine di prescrizione può ammettersi, ed è rilevante, solo quando esso sia di durata tale da non rendere effettiva la possibilità di esercizio del diritto cui si riferisce e di conseguenza appaia inoperante la tutela del diritto” (C. cost. n. 1021 del 1988).
8. Il ricorso va quindi rigettato, con pagamento delle spese del giudizio secondo soccombenza. Sussistono altresì i presupposti per il raddoppio del contributo unificato da parte del ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in complessive Euro 1200 di cui Euro 1000 per compensi professionali, oltre al 15 % di spese generali ed oneri accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater da atto della sussistenza dei presupposti per versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis delle stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 aprile 2018.
Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2018