Guida in stato di ebbrezza: applicabile la particolare tenuità del fatto

da | Giu 8, 2018 | Giurisprudenza, guida in stato di ebbrezza, Penale

La IV Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza del 29 maggio 2018 n. 24100, torna a pronunciarsi sull’applicabilità dell’istituto della particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis c.p. al reato di guida in stato di ebbrezza previsto dall’art. 186 comma 2 del Codice della Strada.

Il ricorrente, condannato per il reato di cui all’art. 186 comma 2 lett. B) C.d.S. – aggravato per essere stato commesso dopo le ore 22 e prima delle ore 7 – in entrambi i gradi del giudizio di merito, lamentava la illegittima esclusione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis c.p. richiamando la nota sentenza delle Sezioni Unite del 25 febbraio 2016 n. 13681 secondo cui l’istituto della particolare tenuità del fatto è applicabile anche ai reati di pericolo che prevedono una soglia di punibilità.

I Giudici di legittimità precisano che nel reato di guida in stato di ebbrezza “non esiste un’offesa tenue o grave in chiave archetipica”, necessitando, quindi, una valutazione del caso concreto e del grado di offensività sulla base delle circostanze fattuali emerse nel corso processo.

Secondo la S.C., nel caso di specie, alcune circostanze fattuali non erano state valutate dalla Corte territoriale, la quale si limitava ad una descrizione della fattispecie legale astratta, non indagando sulla modalità della condotta assunta in concreto dall’imputato.

Aggiunge la Corte: “La valutazione sulla particolare tenuità del fatto, al contrario, richiede l’analisi e la considerazione della condotta, delle conseguenze del reato e del grado della colpevolezza. Si tratta di ponderazioni che sono parte ineliminabile del giudizio di merito e che devono essere conseguentemente espresse in motivazione”.

Riprendendo quanto stabilito dalla citata sentenza a Sezioni Unite, la Corte di legittimità ribadisce che “il fatto particolarmente tenue va individuato alla stregua di caratteri riconducibili a tre categorie di indicatori: le modalità della condotta, l’esiguità del danno o del pericolo, il grado della colpevolezza. La nuova normativa non si interessa della condotta tipica, bensì ha riguardo alle forme di estrinsecazione del comportamento, al fine di valutarne complessivamente la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e conseguentemente il bisogno di pena”.

Per tali motivazioni la Suprema Corte annullava la sentenza impugnata nella parte in cui escludeva l’applicabilità dell’istituto della particolare tenuità del fatto e rinviava  alla Corte territoriale per un nuovo giudizio sul punto.

Cassazione Penale, Sezione IV, n. 24100 del 29 maggio 2018

RITENUTO IN FATTO

  1. XXX imputato del reato di cui all’art. 186 comma 2 lett. b) cod. strada, aggravato ex art. 186 comma 2 sexies, ricorre a mezzo del difensore, avverso la sentenza della Corte di appello di Potenza (8 giugno 2017) che, confermando la sentenza di condanna del Tribunale di Matera, ha sostituito la pena detentiva con la corrispondente sanzione pecuniaria, rideterminando la pena in euro cinquemila novecento di ammenda.
  2. Con il primo motivo deduce violazione delle norme processuali per omesso avviso al difensore di fiducia del rinvio delle udienze del 19 maggio 2017 e del 8 giugno 2017 a seguito di accoglimento di istanza di legittimo impedimento del predetto difensore.

2.1. Con il secondo motivo, censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio motivazionale in quanto è stata illegittimamente esclusa la causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis cod. pen. Richiama al riguardo la pronuncia delle Sezioni Unite (n.13681 del 25/02/2016) la quale ha escluso che la previsione di una soglia di punibilità sia di per sé ostativa all’applicabilità dell’art. 131 bis cod. pen. La motivazione della sentenza impugnata, discostandosi dalle conclusioni della menzionata giurisprudenza di legittimità, sarebbe pertanto manifestamente illogica e inconferente.

2.2. In ultimo, il ricorrente denuncia la mancata applicazione della prescrizione, il cui termine si sarebbe compiuto il 3 ottobre 2017, prima del deposito del presente ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Il primo e il terzo motivo di ricorso sono privi di pregio, e dunque manifestamente infondati.
  2. Quanto al primo: il difensore che abbia ottenuto la sospensione o il rinvio della udienza per legittimo impedimento a comparire ha diritto all’avviso della nuova udienza solo nel caso di rinvio “a nuovo ruolo”, poiché, nel diverso caso di rinvio ad udienza fissa, la lettura dell’ordinanza sostituisce la citazione e gli avvisi, atteso che il sostituto assume per conto del sostituito i doveri derivanti dalla partecipazione all’udienza (Sez. U, sent. n. 8285 del 28/02/2006, Rv. 232906; Sez. 3, sent. n. 35764 del 10/01/2017, Rv. 270797; Sez. 3, sent. n. 30466 del 13/05/2015, Rv. 264159; Sez. 2, sent. n. 51427 del 05/12/2013, Rv.258065).
  3. Anche il terzo motivo non merita accoglimento, avuto riguardo ai diversi periodi di sospensione della prescrizione desumibili dalla consultazione dell’incarto processuale.
  4. Fondato è, invece, il secondo motivo relativo alla motivazione della sentenza impugnata in punto di applicazione dell’art. 131 bis cod. pen. Questa, invero, conformandosi ai laconici assunti della pronuncia di primo grado, si risolve in una mera petizione di principio laddove invoca, in particolare, modalità della condotta di cui peraltro non dà affatto conto, menzionando altresì l’aggravante della guida in orario notturno.

Si rileva che nell’atto di appello del XXX risultano indicate, a sostegno dell’applicabilità dell’art. 131 bis cod. pen. alcune circostanze, sul fatto e soggettive, che non risultano adeguatamente valutate dalla Corte distrettuale la cui motivazione sul punto si risolve in una tautologia. Tale è, invero, l’assunto che «avuto riguardo alle modalità della condotta ed all’entità dello stato di ebbrezza, nonché alla circostanza per cui il XXX guidava il veicolo in piena notte […], il fatto […] non può essere affatto considerato di particolare tenuità, considerata l’elevata pericolosità di tale comportamento». Le modalità della condotta, peraltro, non vengono in alcun modo descritte e la motivazione sul punto si appalesa come mera parafrasi della descrizione della fattispecie legale astratta.

  1. La valutazione sulla particolare tenuità del fatto, al contrario, richiede l’analisi e la considerazione della condotta, delle conseguenze del reato e del grado della colpevolezza. Si tratta di ponderazioni che sono parte ineliminabile del giudizio di merito e che devono essere conseguentemente espresse in motivazione.
  2. Come è noto, le Sezioni Unite (sent. n. 13681 del 25/02/2016, Rv. 266595), investite del quesito di diritto “se la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto sia compatibile con il reato di guida in stato di ebbrezza”, hanno ritenuto che non vi siano ostacoli alla sua applicazione anche ai reati di pericolo astratto o presunto, sottolineando, in particolare, come la previsione di un valore soglia per la configurazione del reato svolge la sua funzione unicamente sul piano della selezione categoriale, mentre la particolare tenuità del fatto richiede un vaglio delle manifestazioni in cui il fatto si è concretato. Per ciò che qui interessa, non esiste un’offesa tenue o grave in chiave archetipica: è la concreta manifestazione del reato a segnarne il disvalore.
  3. Occorre, dunque, compiere una valutazione relativa al fatto concreto; verificare se la irripetibile manifestazione dell’illecito presenti un ridottissimo grado di offensività. Il recente istituto di cui all’art. 131 bis cod. pen. si giustifica, infatti, alla luce della riconosciuta graduabilità del reato in relazione al disvalore d’azione e di evento nonché all’intensità della colpevolezza. Il legislatore, infatti, ha limitato il campo d’applicazione del nuovo istituto proprio in relazione alla gravità del reato, desunta dalla pena edittale massima; e alla non abitualità del comportamento. In tale ambito, il fatto particolarmente tenue va individuato alla stregua di caratteri riconducibili a tre categorie di indicatori: le modalità della condotta, l’esiguità del danno o del pericolo, il grado della colpevolezza. La nuova normativa non si interessa della condotta tipica, bensì ha riguardo alle forme di estrinsecazione del comportamento, al fine di valutarne complessivamente la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e conseguentemente il bisogno di pena. Insomma, si è qui entro la distinzione tra fatto legale, tipico, e fatto storico, situazione reale ed irripetibile costituita da tutti gli elementi di fatto concretamente realizzati dall’agente, in conformità ai principi sul fatto sanciti nella teoria generale del reato. Ed è chiaro che la novella intenda per l’appunto riferirsi alla connotazione storica della condotta, essendo in questione non la conformità al tipo, bensì l’entità del suo complessivo disvalore. Ne discende che, venendo in considerazione la caratterizzazione storica del fatto nella sua interezza, non si dà tipologia di reato per la quale sia preclusa la considerazione della modalità della condotta; ed in cui sia quindi inibita ontologicamente l’applicazione del nuovo istituto. Tale ricostruzione dell’istituto trova ulteriore conferma nella necessità di compiere le valutazioni di cui si discute alla luce dell’art. 133, comma 1, cod. pen. Il richiamo mette in campo, oltre alle caratteristiche dell’azione e alla gravità del danno o del pericolo, anche l’intensità del dolo e il grado della colpa. L’elemento soggettivo del reato penetra nella tipicità oggettiva. Ciò è particolarmente chiaro nell’ambito della colpa, ove rileva il tratto obiettivo della violazione della regola cautelare. La dottrina della colpevolezza è infatti troppo profondamente legata al tema della pena e della sua commisurazione perché se ne possa prescindere. Essendo richiesta la ponderazione della colpevolezza in termini di esiguità e quindi la sua graduazione, è del tutto naturale che il giudice sia chiamato ad un apprezzamento di tutte le rilevanti contingenze che caratterizzano ciascuna vicenda concreta ed in specie di quelle afferenti alla condotta; ed è quindi escluso che una preclusione possa derivare dalla modesta caratterizzazione, sul piano descrittivo, della fattispecie tipica. Non si può prescindere, dunque, dal dato concreto: nessuna presunzione è consentita.
  4. La contravvenzione di cui si discute si inscrive effettivamente nella categoria di illeciti in cui la pericolosità della condotta tipica è tratteggiata in guisa categoriale: è ritenuta una volta per tutte dal legislatore, che individua comportamenti contrassegnati, alla stregua di informazioni scientifiche o di comune esperienza, dall’attitudine ad aggredire il bene oggetto di protezione. Si tratta, in breve, dei reati di pericolo presunto: nessuna indagine è richiesta sulla fattispecie concreta e sulla concreta pericolosità in relazione al bene giuridico oggetto di tutela. Si tratta di una categoria di illeciti che trova frequente espressione in reati contravvenzionali connotati proprio dal superamento di valori soglia ritenuti per l’appunto tipicamente pericolosi. Orbene, non è da credere che tale conformazione della fattispecie faccia perdere il suo ancoraggio all’idea di pericolo ed ai beni giuridici che si trovano sullo sfondo. Al contrario, come ormai diffusamente ritenuto, si tratta di illeciti che presentano un forte legame con l’archetipo della pericolosità e garantiscono, anzi, il rispetto del principio di tassatività, assicurando la definita conformazione della fattispecie alla stregua di accreditate informazioni scientifiche e di razionale ponderazione degli interessi in gioco; ed eliminando gli spazi di vaghezza e discrezionalità connessi alla necessità di accertare in concreto l’offensività del fatto. Da tale ricostruzione della categoria discende che, accertata la situazione pericolosa tipica e dunque l’offesa, resta pur sempre spazio per apprezzare in concreto, alla stregua della manifestazione del reato, ed al solo fine della ponderazione in ordine alla gravità dell’illecito, quale sia lo sfondo fattuale nel quale la condotta si inscrive e quale sia, in conseguenza, il concreto possibile impatto pregiudizievole rispetto al bene tutelato.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al diniego della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., con rinvio alla Corte di appello di Salerno, per nuovo giudizio sul punto.

Così deciso il 22 marzo 2018.

Condividi sui social: