L’Agenzia delle Entrate Riscossione non può farsi assistere da avvocati esterni (Cass. 28684/2018)
Con la sentenza n. 28684 del 10 ottobre 2018, la Corte di Cassazione ha stabilito che l’ente pubblico riscossore non può stare in giudizio con avvocati del libero foro salvo non dimostri l’eccezionalità del caso e la presenza di apposita e motivata delibera di incarico sottoposta al vaglio dell’organo di vigilanza.
Tra l’altro, l’art. 11 del D.Lgs. 546/92, soprattutto per i due gradi di merito, prevede che l’Ente Pubblico deva stare in giudizio “personalmente” ovvero con propri dipendenti abilitati all’assistenza tecnica giudiziale o che comunque siano incardinati nella struttura territoriale sovraordinata.
Dunque, gli ermellini hanno ritenuto nullo il mandato all’avvocato del libero foro in quanto rilasciato senza il vaglio dell’organo di vigilanza e senza eccezionalità del caso. Inoltre, hanno precisato che tale atto è suscettibile di sanatoria soltanto nei limiti dell’art. 125 c.p.c. ma esclusivamente per i giudizi di merito.
Cassazione Sezione Tributaria, sentenza n. 28684 del 9 novembre 2018
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Sentenza 9 novembre 2018, n. 28684
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 9500-2013 proposto da:
C.G., C.P., elettivamente domiciliati in ROMA VIA G. A. SARTORIO 60, presso lo studio dell’avvocato MARCO CAMARDA, che li rappresenta e difende giusta delega in calce;
– ricorrenti –
contro
EQUITALIA SUD SPA AGENTE RISCOSSIONE PROVINCIA ROMA, in persona del Responsabile del Contenzioso esattoriale Direzione Regionale Lazio, elettivamente domiciliato in ROMA VIA ATTILIO REGOLO 12-B, presso lo studio dell’avvocato ZOSIMA VECCHIO, che lo rappresenta e difende con procura notarile del Not. Dr. M.D.L. in ROMA, rep. n. (OMISSIS) del (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 42/2012 della COMM.TRIB.REG. di ROMA, depositata il 21/02/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/10/2018 dal Consigliere Dott. MILENA BALSAMO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE GIOVANNI, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di ragione del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avvocato CAMARDA che si riporta agli atti;
udito per il controricorrente l’Avvocato ZOSIMA che si riporta agli scritti.
Svolgimento del processo
- C.G. e P. riassumevano, con atto del 2.2.2009, il giudizio introdotto dal loro de cuius, C.M., il quale, a suo tempo, aveva impugnato il preavviso di fermo di veicolo fondato su 59 cartelle, recanti crediti per sanzioni tributarie e sanzioni relative al c.d.s, insistendo nella originaria eccezione di nullità della notifica delle cartelle al portiere non seguite dall’invio della raccomandata informativa ed impugnando le sanzioni, in quanto intrasmissibili agli eredi dei trasgressori di leggi tributarie ai sensi della L. n. del 1929, artt. 3 e 15.
La C.T.P. di Roma dichiarava il difetto di giurisdizione in ordine alle cartelle relative alle violazioni del c.d.s (attribuite alla giurisdizione del giudice di pace) e rigettava la residua impugnazione relativa all’insussistenza dell’obbligo tributario in capo agli eredi, ritenendo applicabile la L. n. 689 del 1981, art. 11, comma 7.
La sentenza veniva appellata dai contribuenti dinanzi alla C.T.R. del Lazio che respingeva il gravame, affermando l’inammissibilità del ricorso proposto in primo grado per la tardiva contestazione delle cartelle esattoriali, in quanto regolarmente notificate al contribuente a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento.
Avverso la sentenza indicata in epigrafe propongono ricorso per cassazione i coeredi svolgendo quattro motivi.
In prossimità dell’originaria udienza dinanzi alla Sezione, i ricorrenti hanno depositato memorie difensive ad illustrazione del ricorso.
La società di riscossione resiste con controricorso.
Con successiva memoria si è costituita l’Agenzia delle Entrate -servizi di riscossione – con la nomina del nuovo difensore.
Motivi della decisione
- In data 22 ottobre 2018 si è costituita in giudizio Agenzia delle Entrate – Riscossione in veste di ente pubblico economico successore universale di Equitalia, D.L. n. 193 del 2016, ex art. 1, comma 3, conv.in L. n. 225 del 2016.
La costituzione è avvenuta – in base all’allegata procura alle liti, autenticata il 19.12.14 e rilasciata dall’allora direttore generale di Equitalia Sud spa – con nomina di nuovo difensore in persona dell’avv. Zosima Vecchio del foro di Roma, a seguito del decesso, in data 29.12.13, del precedente (unico) difensore di Equitalia Sud, l’avv. Riccardo Zacchia di Roma.
3.1 La nullità della procura, per le ragioni che di seguito saranno esposte, determina l’invalidità dell’atto di costituzione dell’Agenzia – riscossione, con la conseguente inutilizzabilità delle istanze e delle deduzioni in esso contenute (peraltro di mero richiamo alle già svolte difese), anche ai fini della liquidazione delle spese di lite, riferibili all’ente di nuova costituzione.
- Com’è noto, il D.L. n. 193 del 2016, art. 1, comma 1 prevede che: “A decorrere dal 10 luglio 2017 le società del Gruppo Equitalia sono sciolte. Le stesse sono cancellate d’ufficio dal registro delle imprese ed estinte, senza che sia esperita alcuna procedura di liquidazione….. Il D.L. n. 193 del 2016, art. 1, comma 2 del dispone che: “dalla data di cui al comma 1, l’esercizio delle funzioni relative alla riscossione nazionale, di cui al D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 3, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248, riattribuito all’Agenzia delle Entrate di cui al D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 62, è svolto dall’ente strumentale di cui al comma 3”.
Il terzo comma, espressamente richiamato dalla precedente disposizione normativa, recita: “Al fine di garantire la continuità e la funzionalità delle attività di riscossione, è istituito un ente pubblico economico, denominato “Agenzia delle entrate Riscossione” sottoposto all’indirizzo e, alla vigilanza del Ministro dell’economia e delle finanze. L’Agenzia delle entrate provvede a monitorare costantemente l’attività dell’Agenzia delle entrate Riscossione, secondo principi di trasparenza e pubblicità. L’ente subentra, a titolo universale, nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, delle società del Gruppo Equitalia di cui al comma 1 e assume la qualifica di agente della riscossione con i poteri e secondo le disposizioni di cui al titolo 1, capo 2, e al titolo 2, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602. L’ente ha autonomia organizzativa, patrimoniale, contabile e di gestione”.
5.Il trasferimento di funzioni operato dalla citata normativa ha comportato, infatti, il verificarsi, sul piano processuale, di un fenomeno successorio riconducibile non all’art. 110 cod. proc. civ., che concerne la successione nel processo nell’ipotesi del “venir meno” della parte per morte o per altra causa, bensì all’art. 111 del medesimo codice, con eventuale legittimazione concorrente e non sostitutiva del successore a titolo particolare, derivante dal fatto che una norma abbia concepito un nuovo soggetto giuridico come destinatario di un trasferimento di funzioni e di attribuzioni prima conferite ad altri (Cass. nn. 7318 e 21773 del 2014).
Infatti, in base all’art. 110 c.p.c., la successione nel processo è circoscritta all’ipotesi del “venir meno della parte per morte o per altra causa”; mentre, ove una norma abbia concepito un nuovo soggetto giuridico come destinatario di un trasferimento di funzioni e di attribuzioni altrimenti prima conferite, non si è dinanzi a una situazione rilevante ex art. 110 c.p.c., ma a una vicenda traslativa di posizioni attive e passive specificamente determinate (Cass. n.15869/2018; n. 12310/2018).
Analogamente a quanto accaduto con il trasferimento di funzioni sia dal Ministero delle finanze alle agenzie fiscali D.Lgs. n. 300 del 1999, ex art. 57 (Cass. SSUU 3116/06; Cass. 1925/08) e dalle preesistenti concessionarie per la riscossione alla stessa Equitalia spa D.L. n. 203 del 2005, ex art. 3 conv.in L. n. 248 del 2005 (Cass. 7318/14, la quale ha anch’essa ricondotto il fenomeno successorio, sul piano processuale, all’art. 111, e non all’art. 110 cod. proc. civ.).
La successione a titolo particolare nel diritto della parte non ha effetto sul rapporto processuale che, in virtù del principio stabilito dall’art. 111 cod. proc. civ., continua tra le parti originarie, con la conseguenza che l’originario titolare del diritto mantiene la sua legittimazione attiva (ad causam) conservando tale posizione anche nel caso di intervento del successore a titolo particolare (S.U. n 22727 del 2011; Cass. n. 1552/2011; n. 21773/2014).
Sicchè, la sentenza che viene pronunciata nei confronti sella parte originaria ha comunque effetto contro il successore a titolo particolare, il quale può intervenire o essere chiamato nel giudizio, divenendone parte a tutti gli effetti (Cass. n. 8477/2015).
Ha osservato, al riguardo, questa Corte che, nel giudizio di cassazione, essendo ininfluente la sopravvenuta morte della parte, coloro che intendano prendervi parte, in proprio nome e nella qualità di successori, possono farlo con atto di intervento o con ricorso, previo rilascio di apposita procura notarile, stante la perdurante valenza del mandato rilasciato dall’originario ricorrente.
Fermo che la disciplina della prosecuzione del giudizio da parte del successore a titolo universale o particolare non può essere ritenuta incompatibile con il giudizio di legittimità, in mancanza di norme che espressamente la escludano e di una incompatibilità con le forme del processo di cassazione, si deve rilevare che le modalità della prosecuzione e, quindi, dell’ingresso del successore a titolo universale o particolare debbono adeguarsi alle forme stabilite per il ricorso considerate in relazione al profilo funzionale della prosecuzione, che è quello di apportate un elemento di novità sul piano soggettivo.
Sotto il primo profilo, va considerato che il giudizio di cassazione, carente sostanzialmente di una fase di istruzione, si svolge, salva la possibilità di interloquire nella discussione in pubblica udienza, attraverso atti tipizzati, quali il ricorso, il controricorso e, quindi, le memorie.
Solo i primi due atti introducono gli elementi sui quali si deve svolgere il giudizio, mentre le memorie hanno valore soltanto illustrativo (anche se possono essere utilizzate per dedurre fatti sopravvenuti).
Del ricorso e del controricorso è prevista poi la notificazione in funzione dell’assicurazione del contraddittorio, mentre delle memorie solo il deposito. Sulla base di questi dati, si deve osservare che l’entrata nel processo di cassazione del successore, concretandosi in un apporto innovativo sotto il profilo soggettivo consistente nella sostituzione della legittimazione della parte originaria, allorquando riguardi una parte già costituitasi con il deposito del ricorso o del controricorso, deve avvenire, per l’ovvia esigenza di assicurare una forma simile a quella del ricorso e del controricorso, cioè degli atti che introducono gli elementi sui quali si deve svolgere il giudizio, mediante un atto che, assumendo la natura sostanziale di atto di intervento, dev’essere anche partecipato alla controparte mediante notificazione. Ciò, in vista dell’assicurazione del contraddittorio della controparte sulla nuova manifesta legittimazione.
Di qui la necessità che la costituzione avvenga con ricorso ed allegata procura speciale (Cass. 11375/2010; n. 7441 del 2011; n. 7441 del 2011; n. 3471 del 2016).
- Quanto alla difesa in giudizio, la succitata normativa prevede (comma 8) che: “L’ente è autorizzato ad avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato ai sensi dell’art. 43 del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato, di cui al R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, fatte salve le ipotesi di conflitto e comunque su base convenzionale”.
Il legislatore ha altresì stabilito che il nuovo ente possa anche avvalersi di avvocati del libero foro, “sulla base di specifici criteri definiti negli atti di carattere generale deliberati ai sensi del comma 5 del presente articolo” e secondo i parametri selettivi di affidamento di cui al D.Lgs. n. 50 del 2016 (Codice dei contratti pubblici), statuendo inoltre che: – l’ente possa “avvalersi ed essere rappresentato, davanti al tribunale e al giudice di pace, da propri dipendenti delegati, che possono stare in giudizio personalmente”; -“ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici”, l’Avvocatura dello Stato, sentito l’ente, possa in ogni caso “assumere direttamente la trattazione della causa”; – trovando applicazione, quanto a capacità processuale, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 11, comma 2, concernente la costituzione in giudizio diretta avanti alle commissioni tributarie.
La norma ha esteso, dunque, l’inammissibilità della rappresentanza processuale volontaria, oltre che espressamente agli uffici dell’Agenzia delle entrate ed a quelli dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli (come già si riteneva) ed alle cancellerie o segreterie dell’ufficio giudiziario (come già previsto dal comma 3 bis), anche all’ufficio dell’agente della riscossione, il quale quindi deve stare in giudizio – in particolare, solo nel giudizio di merito – direttamente (o mediante la struttura territoriale sovraordinata), cioè in persona dell’organo che ne ha la rappresentanza verso l’esterno o di uno o più suoi dipendenti dallo stesso organo all’uopo delegati, e non può farsi rappresentare in giudizio da un soggetto esterno alla sua organizzazione, tranne che nelle ipotesi in cui può avvalersi della difesa dell’avvocatura dello Stato, come espressamente previsto dall’art. 1, comma 8 del citato decreto legge, sebbene detto ente non apparttnga propriamente all’ambito delle Amministrazioni dello Stato trattandosi di ente pubblico economico – alle quali normalmente si riferisce la previsione circa la rappresentanza, il patrocinio e l’assistenza in giudizio per il tramite dell’Avvocatura dello Stato (R.D. n. 1611 del 1933, art. 1).
7.A tal proposito, va rammentato che l’Avvocatura dello Stato, in aggiunta al patrocinio obbligatorio in favore delle Amministrazioni dello Stato, può essere autorizzata ad assumere la rappresentanza e difesa anche di Amministrazioni pubbliche non statali e di enti pubblici sovvenzionati, sottoposti a tutela od anche a sola vigilanza dello Stato (c.d. patrocinio autorizzato). Condizione necessaria per l’esercizio di questo patrocinio è l’esistenza di un provvedimento di autorizzazione che, in virtù di quanto disposto dall’art. 43 cit., può essere costituito da una “disposizione di legge, di regolamento o di altro provvedimento approvato con regio decreto”, i quali, per effetto delle modifiche introdotte dalla L. 12 gennaio 1991, n. 13, art. 11, devono essere “promossi di concerto” con i Ministri della Giustizia e dell’Economia e delle Finanze.
Quando sia intervenuto il detto provvedimento, la rappresentanza e la difesa in giudizio sono assunte dall’Avvocatura “in via organica ed esclusiva” (art. 43 del TU cit. come modificato dalla L. n. 103 del 1979, art. 11), sicchè si applicano le stesse regole del patrocinio obbligatorio, fatta salva l’ipotesi di un conflitto con lo Stato o con le Regioni.
Salva la suddetta ipotesi di conflitto di interessi, le Amministrazioni e gli enti suindicati (anche regionali) possono decidere di non avvalersi della Avvocatura dello Stato soltanto “in casi speciali” e previa adozione di “apposita motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza”. Si tratta, quindi, di una facoltà esercitabile in casi di carattere eccezionale, come è stato espressamente confermato nel parere del Consiglio di Stato, Sez. 2, 29 ottobre 1986, n. 2025 e nella deliberazione della Corte dei Conti 6 aprile 1984, n. 1432, con riguardo al patrocinio delle Università statali e degli altri istituti statali di istruzione superiore.
8.La citata recente normativa, in coerenza con il R.D. n. 1611 del 1933, art. 43, espressamente richiamato, secondo cui “l’Avvocatura dello Stato può assumere la rappresentanza e la difesa nei giudizi attivi e passivi avanti all’autorità giudiziaria, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali amministrazioni pubbliche non statali ed enti sovvenzionati, sottoposti a tutela o anche alla sola vigilanza dello Stato, sempre che sia stata autorizzata da disposizione di legge, di regolamento o di altro provvedimento con regio decreto”, introduce il patrocinio autorizzato ai fini della rappresentanza in giudizio dell'”Avvocatura, anzichè quello obbligatorio come quella prevista per gli enti pubblici statali dall’art. 9 del predetto R.D.; con i conseguenti limitati effetti propri di tale forma di rappresentanza consistenti nell’esclusione della necessità del mandato e, salvi i casi di conflitto, nella facoltà di avvalersi di avvocati del libero foro e non dell’Avvocatura dello Stato solo in casi eccezionali previa la suddetta apposita e motivata delibera dell’organo di vigilanza.
L’opzione del patrocinio si spiega perchè il nuovo ente è distinto, come evidenziato, dallo Stato (in termini, con riguardo alle Agenzie fiscali, all’indomani del D.Lgs. n. 300 del 1999, Cass. 26 ottobre 2006, n. 23005); ma l’alternativa all’esercizio di tale facoltà, quanto al patrocinio davanti alle commissioni tributdrie, sta nella possibilità di stare in giudizio personalmente(nel solo giudizio di merito) (arg. da Cass. 11 giugno 2014, n. 13156), mentre quanto al patrocinio nel giudizio di legittimità, l’alternativa sta nella possibilità di nominare un avvocato del libero foro.
La scelta di un avvocato del libero foro in luogo dell’Avvocato dello Stato non è discrezionale, poichè, in base alla succitata normativa, in particolare alla luce del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, art. 4, Codice dei contratti pubblici, recante i principi relativi all’affidamento di contratti pubblici, l’Agenzia deve operare nel rispetto dei principi di legalità, imparzialità, trasparenza, efficienza ed economicità” (come ribadito con il regolamento del 28 marzo del 2018).
La citata disciplina ha disposto difatti che l’affidamento dell’incarico difensivo ad avvocati del libero foro è condizionato ai medesimi criteri di selezione di cui al codice dei contratti pubblici e soprattutto, agli “specifici criteri definiti negli atti di carattere generale deliberati ai sensi del comma 5 del presente articolo” (D.L. n. 193 del 2016, art. 1, comma 8, in esame); vale a dire, nello statuto ed in quegli atti appunto di carattere generale, di competenza del comitato di gestione, “che disciplinano l’organizzazione e il funzionamento dell’ente” e che devono individuare i casi di accesso al patrocinio del libero foro in alternativa a quello dell’avvocatura dello Stato.
- In particolare, la decisione di avvalersi di avvocati del libero foro per la difesa in giudizio per essere valida presuppone, in linea generale: a) che si sia in presenza di un “caso speciale”; b) che intervenga una preventiva, apposita e motivata delibera dell’organo deliberante; c) che tale delibera sia sottoposta agli organi di vigilanza (per casi analoghi, v: Cass. civ., sez. un., 20-10-2017, n. 24876; Cass. 9 maggio 2011, n. 10103; Cass. 23 marzo 2011, n. 6672; Cass. 13 maggio 2016, n. 9880); d) che sia prodotta in giudizio idonea documentazione in merito alla sussistenza dei due suddetti elementi (vedi: Cass. 14 ottobre 2011, n. 21296; Cass. 10 giugno 2010, n. 13968; Cass. 17 maggio 2007, n. 11516; Cass. 2 maggio 2007, n. 10099; Cass. SU 16 giugno 2005, n. 12868).
- Ebbene, il Regolamento di amministrazione di Agenzia delle entrate-Riscossione deliberato dal Comitato di Gestione il 26 marzo 2018, ed approvato dal Ministero dell’economia e delle finanze il 19 maggio 2018, nel disciplinare l’aspetto relativo al patrocinio legale, richiama la disposizione concernente la sottoposizione dell’ente al controllo della corte dei conti e, dopo aver ribadito che esso “si avvale” (regola) del patrocinio dell’avvocatura dello Stato R.D. n. 1611 del 1933, ex art. 43, stabilisce che l’ente stesso possa “continuare ad avvalersi di avvocati del libero foro”, ma soltanto “in via residuale” e “nei casi in cui si accerti l’impossibilità dell’Avvocatura di Stato di assumere il patrocinio” (eccezione), secondo le modalità operative concordate con apposita convenzione; in tal caso solo potendo delegare avvocati del libero foro iscritti nell’elenco avvocati dell’Ente e dallo stesso indicati.
Sennonchè, il regolamento – nel recepire le disposizioni normative sopra citate – individua, in via generale, le fattispecie di accesso al libero foro, subordinandole alla dichiarata impossibilità dell’avvocatura di assumere l’incarico, ma non assolve alla funzione della delibera motivata di cui al R.D. n. 1611 del 1933, art. 43, comma 4, il quale prevede che “Salve le ipotesi di conflitto, ove tali amministrazioni ed enti intendano in casi speciali non avvalersi della Avvocatura dello Stato, debbono adottare apposita motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza”; delibera o atto amministrativo ritenuto necessario dal testo novellato del D.L. n. 193 del 2016, art. 1, comma 8, come convertito, il quale, a sua volta, implica la fissazione di criteri specifici contenuti in atti generali deliberati dal comitato di gestione.
Ebbene, l’adozione di un atto generale ed astratto che dispone la possibilità di ricorrere al difensore del libero foro subordinatamente alla dichiarata impossibilità dell’avvocatura di assumere l’incarico, non integra nè la fattispecie normativa che esige l’adozione della delibera per “i casi speciali in cui tali enti non intendano avvalersi dell’Avvocatura dello stato” nè quella che prescrive la fissazione di criteri specifici con apposito atto generale: solo una deliberazione determinata e concreta, che si riferisce a giudizi individuati e che disciplina casi concreti e reali, può effettivamente soddisfare – individuando la sussistenza in concreto delle condizioni che sottendono la scelta alternativa, specificamente approvata dagli organi competenti – la volontà legislativa di vincolare la scelta del modello legale di difesa a precise e specifiche condizioni individuate dall’organo deliberante.
- In sintesi, laddove, il mandato all’avvocato del libero foro sia stato rilasciato senza il vaglio dell’organo di vigilanza e non ricorra un caso di urgenza oppure non si sia in presenza di un documentato conflitto di interessi reale, tale atto è nullo ed è suscettibile di sanatoria soltanto nei limiti stabiliti dall’art. 125 cod. proc. civ. e a certe condizioni ma esclusivamente per i giudizi di merito e non per il giudizio di cassazione, a meno che si sia formato giudicato interno sul punto (arg. ex Cass. SU 13 giugno 2014, n. 13431; Cass. 11 giugno 2012, n. 9464; Cass. 4 aprile 2017, n. 8741).
Infatti, la delibera dell’organo deliberante si configura come un requisito indispensabile per la validità del mandato difensivo conferito all’avvocato del libero foro imposto dalla richiamata normativa speciale sul patrocinio autorizzato e per tale ragione la sua mancanza determina la nullità del mandato il suddetto avvocato il quale rimane sfornito dello jus postulandi in nome e per conto dell’ente pubblico (Cass. SU 5 luglio 1983, n. 4512; Cass. 4 febbraio 1987, n. 1057; Cass. 14 febbraio 1997, n. 1353; Cass. 14 ottobre 2011, n. 21296).
8.. Ciò vale a maggior ragione per il giudizio di cassazione per il quale, secondo un consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte assurto al rango di “diritto vivente”, tale vizio non solo è rilevabile anche d’ufficio, come accade per tutti i giudizi (vedi, per tutte: Cass. 18 agosto 1997, n. 7649; Cass. 4 febbraio 1987, n. 1057; Cass. SU 5 luglio 1983, n. 4512; Cass. 20 gennaio 1982, n. 347; Cass. 26 gennaio 2007, n. 1759; Cass. 19 novembre 2007, n. 23953; Cass. SU 19 maggio 2009, n. 11531; Cass. 4 agosto 2010, n. 18062; Cass. 28 aprile 2011, n. 9451) ma determina, in considerazione della nullità del mandato per agire p resistere in sede di legittimità, la nullità assoluta del ricorso (o del controricorso), incidendo sulla relativa ammissibilità (Cass. 18 luglio 2002, n. 10434).
Conclusivamente, il regolamento non è atto idoneo a legittimare il ricorso al patrocinio dell’avvocato del libero foro, stabilendo solo i presupposti che ne determinano la possibilità di derogare, nel caso concreto, alla regola generale.
- Dall’atto di costituzione in giudizio del nuovo difensore non si desume elemento alcuno sul fondamento – a fronte dell’attuale contesto normativo della sua investitura; la quale parrebbe preclusa, per il giudizio di cassazione, anche dal regime convenzionale richiamato dalla legge e dal citato Regolamento di Amministrazione (p. 3.4.1 del Protocollo d’intesa 22 giugno 2017, intercorso tra l’agenzia delle entrate ed il commissario straordinario per l’istituzione di Agenzia delle entrate-Riscossione).
In particolare, non vengono indicati nè l’atto organizzativo generate del nuovo ente contenente gli specifici criteri legittimanti il ricorso ad avvocati del libero foro, nè la specifica e motivata deliberazione del nuovo ente che indichi (così da renderle controllabili da parte degli organi di vigilanza) le ragioni che, nella concretezza del caso, giustificherebbero tale ricorso in alternativa alla regola generale dell’assistenza da parte dell’avvocatura dello Stato.
La carenza di una valida delibera di tal fatta comporta invero il difetto dello ius postulandi del difensore, rilevabile anche d’ufficio (V. Cass n. 21296/2011; Cass. sez. un. 19 maggio 2009 n. 11531, Cass. 4 agosto 2010 n. 18062).
- Vale osservare, poi, come l’invalidità della procura non potrebbe essere sanata attraverso l’ordine di rinnovazione della stessa ai sensi del novellato (dalla L. n. 69 del 2009) art. 182 cod. proc. civ., atteso che l’applicazione di detta norma – già ritenuta incompatibile con il processo di cassazione a proposito di una questione di carenza di potere rappresentativo di un minore: Cass. n. 20016 del 2016 – non è conciliabile con la disciplina del conferimento della procura per il giudizio di cassazione, che con il disposto dell’art. 365 cod. proc. civ. considera l’esistenza della procura speciale e, dunque, di una procura speciale valida, come un requisito di ammissibilità del ricorso per cassazione, siccome conferma anche l’art. 366 cod. proc. civ., n. 5, il quale, esigendo che il ricorso indichi la procura, palesa che essa deve esistere prima del ricorso, così contraddicendo l’idea che possa formarsi dopo (salvo il caso di una sostituzione del difensore originario). La previsione a pena di inammissibilità ricollegata alla proposizione del ricorso, d’altro canto, comportando che il relativo requisito debba sussistere al momento di detta proposizione, impedisce la configurabilità del potere di rinnovazione, che in generale concerne la categoria della nullità e non riguarda quella speciale della inammissibilità (Cass. n. 15073/2018; n. 1255 del 2018; n. 19100 del 2017).
L’invalidità della procura comporta l’ulteriore conseguenza che la lite deve essere decisa tra le parti originarie del presente giudizio di legittimità.
- Con il primo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 139 c.p.c., per assoluta carenza di motivazione, censurando la sentenza impugnata per non aver valutato l’eccezione di nullità delle operazioni notificatorie delle cartelle consegnate al portiere non seguite dall’invio della raccomandata informativa.
- Con il secondo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 nonchè omessa pronuncia, reiterando le censure svolte con il primo motivo.
- Con il terzo mezzo, si lamenta violazione o mancata applicazione del D.Lgs. n. 602 del 1973, art. 26, come modificato dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 12, in quanto l’esattore non è legittimato alla notifica delle cartelle a mezzo posta.
- Con la quarta censura, si lamenta violazione dell’art. 8 del 472/97 e omessa pronuncia, in quanto l’obbligazione sanzionatoria non si trasmette agli eredi.
- La terza censura, da esaminarsi preliminàrmente per priorità logica, è destitifita di fondamento.
La notifica degli atti impositivi a mezzo posta è valida.
19.E’ quanto confermato dalla sentenza n. 5898 del 24.03.2015, con cui la seconda sezione della Suprema Corte ha deciso una controversia in cui era stata impugnata una cartella esattoriale anche per vizi attinenti alla regolarità della notifica, avvenuta a mezzo posta per mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento. L’agente della riscossione aveva sostenuto la validità della medesima sia in quanto avvenuta nel rispetto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 (il cui comma 1 prevede che “La cartella è notificata dagli ufficiali della riscossione o da altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale. La notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento; in tal caso, la cartella è notificata in plico chiuso e la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal secondo comma o dal portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda”), sia per l’avvenuto raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c..
In relazione alla notifica a mezzo del servizio, postale, la Suprema Corte con sentenza della Sezione tributaria n. 16949/2014 – ha ribadito che la notificazione può essere eseguita anche mediante invio, da parte dell’esattore, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, senza necessità di redigere un’apposita relata di notifica, rispondendo tale soluzione alla previsione di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, che prescrive altresì l’onere per il concessionario di conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione di notifica o l’avviso di ricevimento, con l’obbligo di esibirla su richiesta del contribuente o dell’amministrazione.
Pertanto i giudici territoriali hanno correttamente motivato sul punto.
- Anche la prima e la seconda censura – che debbono essere esaminati congiuntamente in quanto attengono alla medesima questione – sono prive di pregio.
L’art. 139 cod. proc. civ. prevede, ai suoi commi terzo e quarto, che “in mancanza delle persone indicate nel comma precedente” – e cioè del destinatario di persona, oppure di una persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda (purchè non minore di quattordici anni o non palesemente incapace) -, “la copia è consegnata al portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda…”: nel qual caso, “il portiere…deve sottoscrivere una ricevuta, e l’ufficiale giudiziario dà notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione dell’atto, a mezzo di lettera raccomandata”.
La Corte di legittimità ha più volte affermato che, in caso di notifica nelle mani del portiere, l’ufficiale giudiziario deve dare atto, oltre che dell’assenza del destinatario, delle vane ricerche delle altre persone preferenzialmente abilitate a ricevere l’atto; ed il relativo accertamento, sebbene non debba necessariamente tradursi in forme sacramentali, deve, nondimeno, attestare chiaramente l’assenza del destinatario e dei soggetti rientranti nelle categorie contemplate dall’art. 139 c.p.c., comma 2, secondo la successione preferenziale da detta norma tassativamente stabilita. Ne discende che deve ritenersi nulla la notificazione nelle mani del portiere, allorquando la relazione dell’ufficiale giudiziario non contenga l’attestazione del mancato rinvenimento delle persone indicate nella norma succitata (Cass. Sez. U, n. 8214 del 20/04/2005; Cass. n. 4627 del 16/12/2013 dep. il 26/02/2014 2014; Cass. n. 22151 del 27/09/2013). 8. La Corte di legittimità ha, poi, affermato che l’omissione dell’avviso a mezzo di invio di lettera raccomandata non è una mera irregolarità ma è causa di nullità della notificazione per vizio dell’attività dell’ufficiale giudiziario notificante, fatti salvi gli effetti della consegna dell’atto dal notificante all’ufficiale stesso, secondo un principio esteso pure alla notifica a mezzo posta.
Diverse considerazioni si impongono nel caso in cui l’ufficio finanziario proceda alla notificazione a mezzo posta ed in modo diretto degli avvisi e degli atti che per legge vanno notificati al contribuente. Quando il predetto ufficio si avvale di tale facoltà di notificazione semplificata, alla spedizione dell’atto si applicano le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle previste dalla L. n. 890 del 1982, con la conseguenza che, in caso di notifica al portiere, essa si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento da quest’ultimo sottoscritto, senza che si renda necessario l’invio di raccomandata (Cass.; n. 17598/2010; n.911/2012;; n.19771/2013; 22151 del 2013; n. 16949/2014; n. 14146/2014; 12083 del 2016; 19795 del 2017; n. 8293/2018).
Dal ricorso medesimo si evince che la notifica è avvenuta con invio diretto a mezzo,posta, con la conseguenza che la notifica si è perfezionata con la ricezione della raccomandata da parte del portiere, senza necessità dell’ulteriore invio della raccomandata informativa.
- L’ultima censura – nella parte in cui attinge la sentenza di primo grado, è inammissibile – dovendola esaminare solo nella parte in cui critica la sentenza dei giudici territoriali di secondo grado, per aver omesso di decidere sull’intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi.
L’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, e, in genere, su una domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, integra una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che. deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e consente alla parte di chiedere – e al giudice di legittimità di effettuare l’esame degli atti del giudizio di merito, nonchè, specificamente, dell’atto di appello (Cass. n. 22759 del 27/10/2014, Rv. 633205 – 01, Cass. n. 16/3/17 n. 6835; Cass.n. 6014/2018).
Con la conseguenza che, una volta accertata l’ammissibilità del motivo, la Corte deve valutare la fondatezza del motivo medesimo e procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (Cass. n. 6014/2018).
La CTR ha, effettivamente, omesso di deciderè sulla questione sollevata dai sign.ri C., i quali – come emerge anche nella parte espositiva della sentenza impugnata – deducevano l’estinzione delle sanzioni con la morte dell’autore dell’illecito tributario, ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 8 e 11, fermandosi alla declaratoria di inammissibilità del ricorso originario quale conseguenza dell’avvenuta rituale notifica delle prodromiche cartelle.
- Ebbene, le sanzioni pecuniarie amministrative previste per la violazione delle norme tributarie hanno carattere afflittivo, onde devono inquadrarsi nella categoria dell’illecito amministrativo di natura punitiva, disciplinato dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, essendo commisurate alla gravità della violazione ed alla personalità del trasgressore, con la conseguenza che ad esse si applica il principio generale sancito dall’art. 7 della L. n. 689 cit., secondo cui l’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione non si trasmette agli eredi, regola che costituisce corollario del principio della responsabilità personale, codificato nell’art. 2, comma 2, del medesimo decreto (Cass. nn. 25284 e 9094 del 2017; 13730 del 2015; n.7888/2002; n. 13894/2008).
- Conclusivamente il ricorso va accolto con riferimento all’ultima censura, con la conseguente cassazione della sentenza nella parte in cui non ha dichiarato l’estinzione delle sanzioni portate dalle cartelle in seguito al decesso del contribuente, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa può essere decisa con l’accoglimento nel merito del ricorso originario dei contribuenti, limitatamente alle sanzioni.
Tenuto conto del parziale accoglimento del ricorso, le spese del giudizio di merito e del presente giudizio vanno compensate tra le parti.
P.Q.M.
La Corte:
– Accoglie il quarto motivo del ricorso e rigetta gli altri mezzi; cassa la sentenza impugnata nei limiti indicati in motivazione e, decidendo nel merito, dichiara nei confronti degli eredi l’estinzione delle sanzioni portate dalle cartelle; conferma nel resto;
– Compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione tributaria della Corte di Cassazione, il 10 ottobre 2018.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2018
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