Radiazione per l’avvocato che intenta diverse azioni esecutive su titoli già adempiuti
“L’ammontare della somme incassate, la gravità della colpa (l’intensità del dolo) nell’agire in executivis, utilizzando titoli già adempiuti, le circostanze oggettive del fatto, il riconoscimento da parte degli incolpati dei fatti senza porvi rimedio, essendo state restituite solo una parte delle ingenti somme incassate indebitamente, la pluralità delle azioni in precisa esecuzione di un medesimo disegno criminoso nel corso degli anni, la gravità del pregiudizio provocato alla controparte ed all’immagine della categoria, sono tutti elementi che provano la impossibilità della permanenza nell’albo dell’avvocato”
La Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con la sentenza n. 30868 del 29 novembre 2018 ha rigettato il ricorso promosso da due avvocati avverso la sentenza del CNF con la quale era stata inflitta la sanzione disciplinare della radiazione dall’albo per aver azionato procedure esecutive nei confronti di un debitore fondate su titoli già in precedenza adempiuti.
Gli ermellini hanno ritenuto corretto l’impianto motivazionale della sentenza del CNF che aveva ritenuto “truffaldino il comportamento dell’avvocato che promuove azioni esecutive su titoli a proprio favore già adempiuti, lucrando indebitamente somme non dovute”.
Le diverse circostanze emerse nel corso dell’istruttoria (l’ammontare delle somme incassate, la gravità della colpa, il riconoscimento dei fatti da parte degli incolpati senza porvi rimedio essendo state restituite solo una parte delle somme incassate, la pluralità delle azioni, il pregiudizio provocato alla controparte ed all’immagine della categoria) provano la impossibilità dei ricorrenti alla permanenza dell’albo.
Aggiunge la Corte: “Per tale comportamento è stata valutata corretta la sanzione della radiazione , alla luce della normativa di cui alla legge 247/2012, che ha affermato il principio ,già consolidato sotto il previgente codice deontologico, dell’incompatibilità con la permanenza nell’albo di chi si rende responsabile della violazione dei fondamentali doveri professionali, quali la violazione dei doveri di probità ,dignità e decoro di cui all’art. 5 (ora art 9 nuovo Codice deontologico);assunzione di iniziative con malafede e colpa grave ex art.6 (ora artt. 9 e 12); aggravamento della posizione del debitore costretto a pagare due volte (art. 66 nuovo Codice deontologico).”
I Giudici della S.C. hanno concluso ritenendo: “la motivazione sulla scelta della sanzione della radiazione non è mancante, nel senso di cui al nuovo art. 360 n. 5 c.p.c., essendo stata indicata la pluralità della circostanze che hanno indotto l’organo della disciplina forense a confermare l’irrogazione di tale sanzione.”
Cassazione Civile, Sezione Unite, sentenza n. 30868 del 29 novembre 2018
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Sentenza n. 30868 del 29/11/2018
FATTI DI CAUSA
Gli avvocati S.F. e M.L.M. propongono ricorso avverso la sentenza del Consiglio Nazionale Forense del 28 12-2017, n. 255, di conferma della sentenza del Consiglio dell’Ordine di Catanzaro, con la quale era stata loro inflitta la sanzione disciplinare della radiazione dall’albo per aver promosso, negli anni 2010/2011, numerose azioni esecutive nei confronti di Poste Italiane S.p.A., tutte fondate sui titoli già in precedenza azionati nei confronti della medesima società e già regolarmente adempiuti negli anni 2006 e 2007.
Non presenta difese l’intimato.
I ricorrenti depositano memoria ex art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.A seguito di un esposto della s.p.a Poste Italiane, il COA di Catanzaro ha aperto un procedimento disciplinare a carico dei ricorrenti, formulando i seguenti capi di incolpazione: art. 3, per volontarietà dell’azione consistita nella reiterata proposizione di numerosissime azioni esecutive nei confronti dell’esponente, tutte fondate su titoli già in precedenza azionati nei confronti del medesimo ed a cui questi aveva già pienamente e tempestivamente adempiuto; art. 5, comma 1, perchè l’azione posta in essere dagli iscritti rileva penalmente e, in quanto più volte reiterata, deve ritenersi costituente comportamento non colposo; art. 5, comma 2, perchè il comportamento sopraindicato mina gravemente la reputazione della classe forense; art. 6, per aver proposto azioni esecutive plurime con colpa grave (se non dolo) nei confronti dello stesso debitore, peraltro già adempiente agli obblighi derivanti dal titolo esecutivo azionato nei suoi confronti; art. 49, per aver aggravato la posizione del debitore con azione giudiziarie plurime assoggettandolo a molteplici azione esecutive.
Il COA di Catanzaro, valutate le risultanze probatorie, documentali ed orali, congiuntamente al comportamento processuale degli incolpati, che hanno preteso di giustificare come frutto di negligenza il recupero coattivo di somme rilevantissime non dovute, di cui hanno provveduto a restituire solo una parte, ha inflitto la sanzione della radiazione dall’albo, sanzione confermata dal C.N.F.
- Con l’unico articolato motivo si denunzia difetto assoluto di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. In L. 7 agosto 2012, n. 134, sotto tre profili: omessa considerazione in ordine agli elementi qualificanti il fatto, costituito da anomalie procedurali di Poste Italiane della quale si riconosce il concorso colpevole, la complessità della questione considerato l’enorme numero di pratiche eseguite, aggravata dal comportamento degli uffici di Poste Italiane che non specificava i riferimenti dei pagamenti; omissione della valutazione della circostanza che gli incolpati avevano operato per riparare il danno con il versamento di circa Euro 1.643.000,00 rispetto ad un totale ancora dovuto di Euro 1.482.000,00; l’affermazione viziata ed illogica che l’illecito è indipendente dalla riparazione del danno; – mancata motivazione delle caratteristiche del fatto costituente illecito disciplinare, avendo il C.N.F prospettato due ipotesi alternative seguendo senza alcuna giustificazione la più grave, senza individuare perchè è stata scelta l’ipotesi della radiazione; – mancata motivazione in ordine all’incompatibilità della permanenza del professionista nell’albo.
- Il motivo è infondato.
L’art. 360 c.p.c., n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. S.U. 07/04/2014, n. 8053.
Nell’ambito di questi parametri può avvenire il controllo della motivazione del provvedimento qui impugnato.
- Il C.N.F ha condiviso la motivazione del COA secondo cui sia sulla ricorrenza dei fatti, che sui documenti in atti,non vi è stata una sostanziale contestazione da parte degli incolpati che, invece, sono stati orientati a dirigere la loro difesa al ridimensionamento della personale responsabilità, sostenendo l’involontarietà e l’incolpevolezza delle azioni e talora riducendola ad inadeguatezza della gestione delle procedure da parte di Poste Italiane. Anche il comportamento successivo all’apertura del procedimento, con l’ammissione esplicita di aver percepito somme non dovute e la restituzione solo parziale delle stesse, sono state ritenute tutte circostanze che portano a riconoscere la responsabilità degli incolpati. Il CNF ha ritenuto che ciò non è avvenuto casualmente, per un fortuito concorso di circostanze, ma per la conoscenza e volontà delle azioni e delle omissioni, la “suitas” anche nella formulazione dell’art. 4 nuovo Codice deontologico, che ricorre quando, con un atto consapevole volitivo si tiene un comportamento illecito, che comporta una presunzione di colpa con il preciso onere a carico dell’incolpato di escludere l’addebito attraverso la prova dell’inevitabilità dell’errore o della sua non riferibilità.
- Le circostanze di cui al primo profilo del motivo, in ordine alla quali si lamenta la mancanza assoluta di motivazione, al contrario della prospettazione dei ricorrenti, sono state valutate dal CNF che ha ritenuto infondata la tesi dell’errore inconsapevole determinato dal concorso colpevole delle Poste, affermando che i ricorrenti pretendono inammissibilmente di addebitare a scarsa cura altrui. Ciò costituisce un’evidente violazione del dovere di diligenza da parte di chi, non solo era istituzionalmente onerato,ma anche in concreto in grado di effettuare le opportune verifiche, essendo in possesso della necessaria documentazione.
Anche i successivi pagamenti restitutori sono stati presi in considerazione dall’organo della giustizia disciplinare che ha messo in evidenza l’importo elevatissimo delle somme ancora dovute dai resistenti ed ha ritenuto priva di pregio la disponibilità al rilascio di una fideiussione per arrivare ad una definizione tombale della vicenda, perchè l’avvocato che percepisca somme indebitamente è
tenuto a restituirle e non a promettere la restituzione.
Il profilo del motivo con cui si denunzia contraddittorietà della motivazione in ordine agli effetti della restituzione di somme sull’illecito, è inammissibile in questa sede, in quanto al di fuori dei parametri che consentono oggi l’ingresso del vizio di motivazione in sede di legittimità.
- In ordine ai profili secondo e terzo del motivo, che si esaminano congiuntamente per la connessione logica che li lega, si osserva che il C.N.F. ha ritenuto che non può che ritenersi truffaldino il comportamento dell’avvocato che promuove azioni esecutive su titoli a proprio favore già adempiuti, lucrando indebitamente somme non dovute.
Per tale comportamento è stata valutata corretta la sanzione della radiazione, alla luce della normativa di cui alla L. n. 247 del 2012, che ha affermato il principio, già consolidato sotto il previgente codice deontologico, dell’incompatibilità con la permanenza nell’albo di chi si rende responsabile della violazione dei fondamentali doveri professionali, quali la violazione dei doveri di probità, dignità e decoro di cui all’art. 5 (ora art. 9 nuovo Codice deontologico); assunzione di iniziative con malafede e colpa grave ex art. 6 (ora artt. 9 e 12); aggravamento della posizione del debitore costretto a pagare due volte (art. 66 nuovo Codice deontologico).
Tali violazioni, ognuna di intrinseca gravità, integrano la fattispecie complessa appropriativa valutabile ex art. 21 del Codice deontologico e, secondo i criteri previsti ai commi 3 e 4, portano a confermare l’assoluta illiceità dell’accaduto.
Il C.N.F ha ritenuto che l’ammontare della somme incassate, la gravità della colpa (l’intensità del dolo) nell’utilizzare titoli già adempiuti, le circostanze oggettive del fatto, il riconoscimento da parte degli incolpati dei fatti senza porvi rimedio, essendo state restituite solo una parte delle ingenti somme incassate indebitamente, la pluralità delle azioni in precisa esecuzione di un medesimo disegno criminoso nel corso degli anni, la gravità del pregiudizio provocato alla controparte ed all’immagine della categoria, sono tutti elementi che provano la impossibilità della permanenza dei ricorrenti nell’albo.
- La motivazione sulla scelta della sanzione della radiazione non è mancante, nel senso di cui al nuovo art. 360 c.p.c., n. 5 essendo stata indicata la pluralità della circostanze che hanno indotto l’organo della disciplina forense a confermare l’irrogazione di tale sanzione.
Non luogo a provvedere sulle spese, stante l’assenza dell’intimato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 19 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2018
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